Il Rolango
Canto IV
Oh Muse, oh antiche Muse or m'aiutate,
dopo un ozio sì lungo, a ripigliare
le storie che ho da giovane narrate!
Disse un poeta, di quei da studiare:
"Or non è più quel tempo e quell'etate";
il tempo è andato, senza le fanfare
ch'accompagnan la fama e la ricchezza,
nostre illusioni della giovinezza.
Trent'anni dopo, chi riprende il tema,
cominciato sui banchi della scuola,
che diè vita al Rolango, al gran poema?
Solo un autor ritrova la parola,
decide di concludere lo schema,
contando ormai sulla sua forza sola.
Degli autori il secondo più non pensa
infatti a terminare l'opra immensa.
Torniamo dunque al nostro banditore
che, zittita la folla all'osteria,
si fece avanti con la man sul cuore
ed ai prodi inchinossi, cortesia
riservata a' guerrieri di valore,
senatori, ammiragli e così via,
gente all'incirca come scimpanzé,
ma gradita alla tavola del Re.
"Signori, grandi prenci, benvenuti
nel modesto reame di Pancotto!
A prima vista, senza occhi acuti
è chiaro, come quattro e quattro otto,
che inviati dagli Dei siete gli aiuti
per la figlia del nostro malridotto
grande amato sultan, ch'è prigioniera
d'un bruto, per che ‘l sire si dispera".
Senz'indugiare il messo prese il via
guidandoli dal sommo Abdul Mar-khetti,
signore quasi pazzo di follia
per tema ch'in finissimi pezzetti
fosse fatta sua figlia, ora in balia
di chi fu detto il Tristo delli Tetti,
pel fatto ch'ei passava giorno e notte
in gir sui tetti altrui dentro una botte.
Va spiegato ch'il Tristo fu un soldato
di chiara fama, quasi com'Orlando,
che per aver volubil donna amato
senza successo, gli andò infin a sbando
il cerebro; e per tutto risultato
divenne il Tristo un mostro esecrando.
Ma se il senno d'Orlando sulla Luna
si ritrovò, il Tristo ebbe sfortuna.