Il Rolango
Canto III
E così procedendo senza fretta
vengono a un ponte teso sopra un fiume,
sbarrato da una trista casermetta.
Intorno veglian birri e canagliume,
acciò che l'uom più oltre non si metta
pria che scrutato venga da lor lume.
È la dogana, che la gente aspetta
per spogliarla di soldi e di liquori,
e dei tabacchi cari ai fumatori.
Bloccati da' feroci finanzieri
non voller esibire il passaporto
e cominciar: "Faremmol volentieri,
ma non l'abbiamo: e non ci fate torto!
La nostra damigiana i mai pensieri
col vino caccerà; bere è il conforto
di nostra vita!" E tutte avvinazzate
cadevano le guardie addormentate.
In città giunti con a capo il duro
e dietro in retroguardia il grasso casto,
all'Osteria si trasser del Paguro
per consumarvi un lauto e fero pasto.
Ché soldi non avean di sicuro
si misero a toccare un tristo tasto
cercando di commuovere quell'oste
ch'avevan depredato d'aragoste.
Térsil fissò con l'occhio suo sagace
di birra una gran botte in gir lasciata,
e subito lanciossi, uccel rapace,
a salirvi di sopra, e 'l popol guata,
che tutto sbalordito in dubbio tace
e in ansia attende la parola alata
d'un uomo che all'aspetto appar sapiente
ma ch'un concetto chiaro non ha in mente.
Per tutti gli altri parlò allor quel dotto,
imbastendo un illogico discorso
che finì con un vero quarantotto.
Cominciò mugugnando come un orso,
ch'arrivato nei pressi d'un casotto
e avend'ivi azzannato con un morso
un de' conigli ch'eran lì gaudenti,
gli sia rimaso un osso in mezzo a' denti.
"Cittadini, urlò quei com'una bomba,
dovete voi saper ch'ogni guerriero
simile ad ogni altro è nella tomba.
Perché ogni morto in gir col candeliero
sen va a ramengo giù nell'oltretomba
a cercare la strada ad un maniero,
così che possa svolgere al più presto
il suo lavoro di fantasma onesto.
Quindi, poscia ch'un dì furo ammazzati
Ulisse, Aiace e 'l piè veloce Achille,
tal avrebber, se fosser trapassati,
Getro, Rolango e il savio Tersille
ugual valenza in armi, ché soldati
furono certamente, da quei mille
discendenti, che duce Leonída
salvarono la Grecia ch'era infida.
Tu dunque attendi al mio pensiero, o vulgo,
senza far però appello al vil sentire
se mai vorrai capir quel ch'io promulgo;
àncorati alla sponda del capire
onde possa allo scibil ch'io divulgo
tu, popolo negletto, sbigottire.
Poi ch'a quei grandi pari noi saremmo
se fossim morti, pensa che potremmo
Essere, or che davvero non siam morti!
Più valore e virtude certamente
quindi abbiamo di quei guerrieri forti
ch'ho nominato pur recentemente.
Offriteci allor dunque, uomini accorti,
rimunerandoci adeguatamente,
un ingaggio per compier grandi imprese
e potere pagar l'oste scortese!"
Ed ecco allora come cavallette
fuggir le sue parole in gir pel mondo
lievi saltando qua e là allegrette
senza meta prefissa in girotondo.
Ne derivavan frasi fatte a fette,
senza capo né coda e senza fondo:
e come i muri non capiscon niente
così non capì nulla pur la gente.
Parlando s'agitava come un folle,
la botte calpestava sotto i tacchi,
la birra gorgogliava in grandi bolle
e rapida fluiva tra gli spacchi,
che s'aprian come i solchi tra le zolle
nel legno oramai vecchio e pien d'acciacchi.
Un botto il lanciò in aria tra zampilli
come avvien con la lava ed i lapilli.
Respinto come molla dal soffitto
a terra rimbalzò s'un banditore
intento a masticare solo e zitto.
Costui si ricordò ch'il suo signore
viveva nel palazzo tutto afflitto
e fargli consumar soleva l'ore
per ricercar un prode ben disposto
a liberar sua figlia ad ogni costo.
Scrollatosi di dosso il grande carco
di Térsil che sul collo suo gravava
prese una freccia e la scagliò con l'arco
diretta verso l'alto, come usava
quando bramava di cercarsi un varco
tra folla assai confusa, che bloccava
il traffico pedestre in ogni lato
qual gregge pecorino in mezzo al prato.