Il Rolango
Canto II
La notte era finita, e già l'Aurora
con rosee dita apriva la finestra
della sua reggia, per guardar di fuora
spargendo a piene mani con la destra
quella luce soave, che indora
i flauti e gli ottoni dell'orchestra
dei pennuti volatili augelletti,
ch'i mortali ridestan nei lor letti,
Quando gli dei del cielo stupefatti
videro sulla terra un girotondo
di gente che correva come gatti
braccati da un levriero furibondo:
tre paladin riempivan svelti e ratti
de' lor bagagli un sacco senza fondo
contenti e vispi come tre fringuelli
della stirpe beata degl'uccelli.
Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
che rimandar più oltre non si deve:
cercando d'evitar l'ore di punta
cavalcan dritti, come quei che beve
e, bevuto che ha, s'una trapunta
sbronzo si getta, dignitoso e lieve
al pari d'ippopotamo che sente
morirsi, e 'l piè gli manca egro e languente.
Con questo passo cadenzato e lento,
senza cadere in avventure strane,
come foglie sospinte da buon vento
vagarono per poche settimane.
Riprese lena il loro andar già spento
giungendo in vetta all'Imalaia immane;
ma li spiava con occhi indiscreti
uno strabico, vecchio e saggio Yeti.
Dopo che un pezzo quello yeti fusto
Rolango rimirò che sputacchiava,
credette fosse un suo parente augusto,
ch'in Congo era fuggito, ché rubava
la marmellata al Dalai Lama giusto,
lo qual ogni mattin sempre l'usava
al fin d'eliminare il languorino
che borbottar facevagli il pancino.
Esce di fuor da la sua tana nera
questo yeti tranquillo e robustoso
che negl'atti somiglia al pio Carnera,
e svegliati dal lor giusto riposo
li pargoletti suoi, l'alta criniera
tirando della moglie, freddoloso
féssi innanzi cortese a quei tre matti,
portando lor sbrodaglia in tre bei piatti.
Poi cominciò, rivolto al gran Salame,
a chieder di quel tempo ch'ei trascorse
a fare frigger nel suo gran tegame,
laggiù nel Congo, gran bistecche d'orse,
le quali eran di gusto assai più grame
di quella marmellata e, forse forse,
del bollito di yak con patatine
che mangiavan lassù tutte mattine.
Ed ecco allor Rolango triste triste,
piagnucolando com'una fontana,
rinnovellar con due parole miste
d'ira e dolor la sua vita pagana:
"Tu vuoi ch'i ti descriva quelle piste
che seguii a conoscer la Cristiana
vita d'occaso, ma credi a me, nol posso
a causa della botta ch'in un fosso
Mi presi da un ladron che m'inseguiva".
Poscia precipitossi con gran pianto
tra le sue braccia la moglie lasciva
dello yeti, lo quale con gran canto
felicemente disse: "Orsù, evviva!
Rendiamo dunque grazie al cielo santo:
mi sono liberato finalmente
di chi mi fece viver malamente!"
Questo avea detto con parole conte
ch'ai più sembrar inver parole sante;
poi volse gl'occhi agl'occhi al signor conte
mostrando un'espression tutta raggiante,
ed eretto col petto e con la fronte
andò festante al monte di levante,
lasciando lì Rolango in grandi doglie
poich'elli avea con sé la di lui moglie.
Rimasti soli coi tre piatti in mano,
e la moglie di quello e i suoi eredi,
del brodo si disfaro in modo umano
trangugiandolo in fretta ritti in piedi,
mentre di quella 'l fero in modo strano
prendendola a calcion, non dove credi,
caro lettor, ma nel peloso stinco
che risuonò come un trombon di zinco.
Il rombo riecheggiante rimbombava
tra monte e monte ancora e giù nel piano,
scuotendo picchi e valli insino a Giava:
la donna, intanto, disperata in vano,
i duri cavalieri supplicava
facendo lor dei gesti da lontano,
mentr'in India scendevan salto a salto,
sì che 'l piè fermo era sempre 'l più alto.
Come le rane verdi escon dal fosso
con lustro aspetto e gote rubiconde
urlando e gracidando a più non posso,
e qual veloce fugge o si nasconde,
l'altra l'insegue, fruga, si fa addosso,
e scherzano pei prati in cor gioconde,
in tal guisa contenti e sbarazzini
balzellan verso valle i paladini.